Un Palio mai corso

“Il Palio? Bello e triste.  Io volevo soltanto vincere, agguantare il sogno che avevo da bambino.  Non ce l’ho fatta”.

Bastano queste poche parole per riassumere il rapporto amaro di Pier Camillo Pinelli con il Palio di Siena.  Parole con cui Massimo Reale ha deciso di accompagnare gli occhi penetranti e l’inconfondibile pizzetto di Spillo, sapientemente immortalati dall’obiettivo di Marco Delogu nel libro “I trenta assassini”.

Come per uno strano gioco del destino, le parole di Camillo potrebbero riassumere il pensiero di Gian Battista Barlocco, Capitano di San Magno nel triennio ’81-’83 e unico sulle rive dell’Olona ad aver riposto la propria fiducia nel fantino classe ’55 originario di Monteroni d’Arbia.

Titti – così è conosciuto a Legnano – riceve il testimone, dopo un solo anno, da Paolo Novara, Capitano più per obbligo che per vocazione.  Siamo in pieno periodo d’oro per San Magno.  Con la rocambolesca vittoria di Cianchino nel 1979 si è concluso il mandato di Arcangelo Roveda alla guida della Contrada.  La rincorsa alle zone nobili del medagliere, iniziata tardivamente, ha da poco subito una decisa accelerata.  C’è voglia di continuare su questa strada.

Amarcord

Dal racconto dell’ex Capitano rossobiancorosso emergono i contorni di un Palio diverso, poco vissuto dalle Contrade durante l’anno.  E anche quando si parla di corsa si percepiscono le differenze con il mondo a cui siamo abituati ora.

“A maggio, al limite ad aprile, ci si ricordava.  Ma negli altri 11 mesi le Contrade non esistevano.  I manieri non c’erano, il nostro ad esempio era un locale, quello di Legnarello un appartamento, quello di San Domenico la casa del Capitano Lamperti.  Al tempo non esisteva una vera e propria commissione corsa.  Il Capitano aveva il compito di cercare cavallo e fantino ma spesso non si andava neanche a vedere, ci si affidava a quei nomi che conoscevi per riflesso senese”.

Camillo detto Spillo

Dopo il Palio del 1980, una discussione tra fantino e Contrada porta San Magno ad interrompere il rapporto con Cianchino.  Nel 1981 Capitan Barlocco decide quindi di puntare su Spillo, allora fantino della Torre.  Camillo ha 26 anni.  Con la Torre ha esordito e ha appena disputato i due Palii ufficiali del 1980, montando però cavalli mediocri.  Prima l’esordiente Ariana de Santana, il cui proprietario, Renato Porcu, è passato anche lui come Camillo sotto la supervisione del grande Canapino; poi Zalia de Ozieri, cavalla mai protagonista nei quattro Palii corsi.  Tuttavia non ci sono solo brenne nella carriera di Spillo sul tufo.  All’esordio gli capitano subito Pitagora e Orbello, quest’ultimo già vincitore nel ’71 con Bazza per la Giraffa e nel ’72 con Valente per l’Onda, ma vista l’inesperienza e la giovane età i rimpianti non possono essere molti.  Le grosse delusioni arrivano nel 1977.  La Torre non corre e Camillo veste la giubba giallonera dell’Aquila.  A luglio la sorte gli affida Rimini mentre ad agosto lo mette in groppa a Panezio, già nella leggenda grazie ai cinque successi conquistati fin a quel momento.  Panezio è un cavallo perfetto, ma l’ottavo posto alla mossa e l’inarrestabile accoppiata Aceto – Rimini lo costringono a recitare il ruolo di comparsa, mai davvero in lizza per le posizioni di testa.  Testa della corsa che Spillo sembrava invece avere saldamente in mano poche settimane prima, quando – proprio con Rimini – riesce a pennellare due stupendi giri di Piazza, passando e mettendosi davanti al grande Aceto.  Insidiato solamente dallo scosso del Montone orfano di Randa, calpestato ma rimasto incredibilmente illeso a San Martino, entra male all’ultimo San Martino, perde il ritmo e spiana la strada a Quebel, alla seconda vittoria in solitaria dopo quella con la Chiocciola nel 1976.

Non solo sfortuna.  Ma nemmeno mancanza di mezzi tecnici.  Dalle parole di Titti si intuisce che se Spillo ha raccolto meno di quello che avrebbe meritato in parte può essere colpa della sua emotività.  A conferma di questa tesi cita un episodio, avvenuto proprio a Legnano, che ha visto coinvolti lo stesso Spillo e il Frasca, alias Vincenzo Foglia, allora fantino della rivale San Martino.  E nel ricordarlo, non riesce a trattenere un sorriso.

“L’anno dopo (1982, ndr) abbiamo capito perché non vinceva mai alla Torre.  Perché sentiva troppo il Palio.  A Siena ha avuto un’occasione buona per vincere, ma non l’ha sfruttata perché è troppo emotivo.  Prima del Palio, alla presenza di fantini e Capitani, il mossiere stava spiegando che tipo di scarpe fossero ammesse per disputare la corsa.  Camillo aveva delle specie di pantofole che ovviamente andavano bene.  Le fa vedere al mossiere e il Foglia, ridendo – ma proprio ridendo – gli dice: ‘no quelle lì non vanno bene’.  Spillo spegne il cervello per un attimo e colpisce il Frasca in piena faccia con un diretto.  Secco.  Istantaneo.  Ma il Foglia scherzava, l’ho visto anche io che scherzava…I due contendenti furono prontamente divisi dall’intervento mio e del Gregori (allora capitano di San Martino, ndr), ma dopo il Palio il Gregori disse che se avesse anche solo avuto idea della magra figura che gli avrebbe fatto fare il suo fantino lo avrebbe lasciato lì…altro che portarlo via”.

Il Frasca infatti, dopo sette mosse false in batteria, non partì neppure.  Insistenti voci di corridoio narrano che la delusione di Capitan Gregori fosse tanta da arrivare a chiudere il suo malcapitato fantino nella cella frigorifera del ristorante in cui si erano trovati la sera del Palio a cenare.

Una finale mai corsa

Nel 1981 la scelta di Spillo andò di pari passo con quella del cavallo.  Avuto il benestare anche dal proprietario dell’animale, dopo il successo del 1979 a San Magno torna Peccatrice.  Un nome in grado di riaccendere subito la grande rivalità che allora esisteva tra la Contrada del centro e San Martino.  Peccatrice fu infatti l’unica a regalare un minimo di soddisfazione a Sandro Gregori, che nei molti anni da Capitano riuscì a mettere in bacheca solo il Palio Straordinario del 1980.  L’acuto del fantino locale Gigi Croci non servì a rimpinguare l’allora esiguo numero di vittorie della Contrada biancoblu, visto che a differenza di altre Piazze qui a Legnano gli Straordinari non valgono quanto quelli ufficiali.

“So che quando ho detto che correva Peccatrice il Gregori mi ha dato dello scemo perché gli era giunta voce che la cavalla era morta.  E la conosceva bene, avendola avuta anche lui”.

Siamo nell’epoca dei forti contrasti tra San Magno e San Martino, scaturiti nel periodo delle reggenze Roveda e Gregori, e culminati nella famosa rissa tra Cianchino e Aceto del 1979.  Nonostante Gianbattista Barlocco avesse buoni rapporti con il Capitano rivale, finì ugualmente per pagare l’odio profondo tra le due Contrade.  Ben sette le mosse invalidate in batteria, con Peccatrice che si guadagna la finale ma si infortuna.  Si capisce subito che non c’è nulla da fare.  Nel disperato tentativo di giocarsela fino in fondo Titti vorrebbe addirittura scambiare il cavallo con quello di Legnarello, eliminata in batteria.  L’amico Piero Ferrario, allora Capitano giallorosso, lo avrebbe aiutato volentieri.  Purtroppo – ci dice ridendo – non si poteva fare.  Il sorriso scompare subito dal suo volto ricordando l’epilogo di quella giornata.

“Bello fare la finale sapendo che il cavallo non parte neanche”.

Una gita da Segovia a Urbino

L’anno dopo, terminato il rapporto con Spillo, si torna da Cianchino.  Mentre parla di Salvatore nel suo tono traspare l’amarezza.  L’impegno messo nell’ingaggio di un fantino già di successo e nella ricerca di cavalli di primissima fascia non portò i risultati sperati.

“In due anni mi ha combinato più danni che altro.  Il primo anno avevo preso Segovia.  Un cavallo di proprietà di Renato Sesler, storica figura del Palio di Legnano.  Purtroppo a pochi giorni dal Palio mi dicono che si è azzoppato perché lo aveva portato a correre sulla ferrovia nord per allenarlo.  Ma oltre ad aver fatto male al cavallo, si è fatto male anche lui (Cianchino, ndr).  Abbiamo dovuto far correre Giuseppe Scardino, già fantino di riserva, con Urbino.  Ho fatto venire su da Siena il famoso Urbino.  Un cavallo che all’epoca vinceva a Siena ma che a Legnano è arrivato 72esimo.  Un nome importantissimo, senza dubbio, ma andate a rivedere il Palio del 1982 e guardate che bella figura ha fatto Urbino.”

Povero Urbino de Ozieri.  Un cavallo capace di fare cappotto nel 1978 con due giovani esordienti o poco più: Bastiano e, appunto, Cianchino.  Nomi grossi se pronunciati adesso, ma davvero poco quotati nell’anno di esordio.  Vincerà il suo terzo Palio (su quattro corsi) l’anno seguente con Aceto, ma questa sua manifesta superiorità lo porterà a non essere mai più incluso tra i dieci barberi prescelti.

Di male in peggio

Nel 1983, nonostante l’epilogo dell’anno prima, si continua a puntare su Cianchino.  Sembrava impossibile, ma la situazione, già tragica l’anno prima, peggiorò.  La corsa venne vinta da Legnarello, proprio la Contrada dell’amico Piero Ferrario.  In un finale al cardiopalma, Bazzino beffò sulla linea del traguardo un pigro Aceto, riportando la Croce al popolo giallorosso dopo 17 anni.

“Avevo individuato una cavalla favolosa.  Contourblesse.  Era arrivata seconda all’Ippodromo di Varese, ma non andava solo dritta.  Anzi.  Era una cavallina perfetta per il Palio.  Girava che era uno spettacolo.  Quando Cianchino è venuto a provarla in una corsa dal Battista, andava talmente forte rispetto agli altri che il secondo sta arrivando adesso.  Ricordo che Salvatore voleva portarla giù da lui.  Mio fratello era contrario; preferiva la si tenesse qui.  Ma visto che il cavallo era mio ho deciso di mandarla a Siena, così da permettere a Cianchino di fare i palietti e magari portare a casa qualche soldo.  Solo che allora si correva quasi in mezzo ai sassi.  La cavalla si è fatta male e hanno dovuto ucciderla.  Se quell’anno non mi avessero rovinato il cavallo, l’avrei vinto a mani basse quel Palio.  Ma per fortuna alla nemica non andò meglio.  Ricordo che quando i cavalli uscirono dall’ultima curva il Gregori era già in piedi.  Aceto esce primo dall’ultima curva, può perdere il Palio?  Aceto?  Invece questo prende e va largo…”

Epilogo

“Dopo che mi è morto anche il cavallo ho detto basta.  Non è il mio mondo, o meglio, non c’è niente da fare.  Praticamente non ho mai provato a correre il Palio.  Il rimpianto ce l’ho.  Eccome.  Io il Capitano l’ho fatto per vincere e ho provato sempre a presentarmi competitivo.  Peccato.  Mio figlio (Marco Barlocco, ndr) è stato più bravo di me.  Nonostante i primi sfortunati anni con Giovanni (Atzeni, ndr) ha avuto la forza e la pazienza di aspettare ed è stato ripagato da una grande vittoria”.

E su queste parole, togliamo il disturbo…